Le chiese e gli edifici religiosi

Chiesa S. EugenioConcorezzo fin dalla sua origine ha sempre avuto inserita nel suo codice genetico la cultura cristiana, che ha influenzato profondamente la vita e lo spirito cittadini e che si è espressa nella realizzazione di numerosi edicole e luoghi di culto, gran parte dei quali tutt’ora esistenti.
La più antica delle chiese concorezzesi è la cappella di S. Eugenio, di cui si ha notizia già in un documento dell’853. Inizialmente apparteneva ai signori di Agrate; da questi passò ai monaci di Baraggia e successivamente al capitolo di Monza. Restaurata diverse volte nel corso dei secoli (l’ultima nel 1928), la primitiva costruzione era ad una sola navata rettangolare, con tre vani ed archi verso l’uscita, ai due lati, divisi tra loro da piccole lesene in muratura con capitello. Ora l’edificio è a tre navate suddivise da 5 colonne per parte, ha terminazione absidale piana e soffitto a cassettoni. Sulla destra dell’abside si trova la sacrestia, sulla sinistra il campanile, scandito orizzontalmente da cornici. Dietro l’altare è un affresco di epoca quattrocentesca con la Madonna in trono e, ai due lati, due angeli musicanti; nella navata destra, un’altra immagine della Vergine con il Bambino, detta la Madonna dell’aiuto. Pare che nel XVI secolo un’immagine della Madonna dipinta sui muri di S. Eugenio desse segni miracolosi. E il popolo del villaggio e i vicini, mossi da pio entusiasmo, presero a restaurare la chiesa e a promuovere il culto della Vergine e del Santo cui era dedicata.

 

ColonnaLa chiesa di S. Damiano sorgeva all’incrocio fra le attuali vie C. Battisti e E. Toti. La sua prima citazione compare in un atto di donazione steso nel maggio del 1089 a Concorezzo da coniugi di legge longobarda. Poi non vi sono più notizie per quasi cinque secoli. Nel 1565, all’epoca del cardinale Borromeo, la chiesa di S. Damiano divenne parrocchiale; ancora senza battistero, con quattro altari, un piccolo campanile e due campane (cosa assai rara ai quei tempi). L’edificio aveva tre navate, il sottotetto fatto di tavole, una porta d’ingresso quasi di fronte all’altare maggiore, un’uscita anche nella navata a settentrione, il pavimento in pietra; la strada pubblica era contigua alla chiesa, davanti alla quale vi era la piazza omonima. Da una visita vicariale del 1748 si apprende che la parrocchiale di S. Damiano era allora edificata su un terreno elevato, con tre navate e sette colonne quadrate di laterizio. Vi era un campanile con orologio ed un cimitero che girava attorno all’edificio recintato con lunghi pali. Nella zona del pubblico vi era un organo che serviva nei giorni di festa stabiliti e che poi fu venduto alla demolizione della chiesa, negli ultimi anni del XVIII secolo. Tutto ciò che ne rimane è una cappella in via C.Battisti dedicata alla “Madonna del Rosario” (anticamente detta “dei Magi”), restaurata nel 1998 ad opera dell’amministrazione comunale e della parrocchia.
Alla fine del ‘700 il parroco Don Frigerio, constatata l’inadeguatezza della chiesa di S. Damiano (i concorezzesi avevano superato le mille anime), iniziò la raccolta di fondi per la costruzione dell’attuale parrocchiale, dedicata ai santi Cosma e Damiano. Ma sarà il suo successore, Don Lavelli, a iniziare i lavori il 29 aprile 1810, su un terreno donato dai De Capitani, di fronte al palazzo di famiglia, laddove il cardo incrocia con il decumano. E’ la volontà di dare finalmente la giusta collocazione ai due poteri, quello politico e quello religioso, attraverso i due monumenti neoclassici che, seppure insediati uno di fronte all’altro, manifestano la propria autonomia e riservatezza. Tra un’infinità di problemi pratici e di rinvii, solo nel 1821 si potè consacrare l’edificio, che pure non era terminato. Dai contatti fra il già citato professor Levati, che sicuramente Don Lavelli conosceva, e il famoso architetto milanese marchese Luigi Cagnola, nacque l’idea di affidare a quest’ultimo l’incarico di progettazione della nuova chiesa. Il Cagnola infatti sorvegliò e collaudò i lavori fin oltre il 1821.
L’edificio si presenta maestoso, tutto a colonne joniche di stucco, sporgenti a metà del muro; poi nell’abside girano altre otto intere. Al cornicione di grande sporgenza avrebbe dovuto soprastare un attico, ma per diminuire la spesa venne soppresso, e così riuscì tozza la volta a tutto sesto. Il Cagnola, come soleva, badò all’arte, non alle comodità, sicchè né al pulpito, né ai confessionali, né al battistero, né al coro assegnò degli spazi, e dovettero collocarsi con ripieghi.

 

Il disegno originario avrebbe portato un’ortografia maestosa, elevandosi prima il pronao, poi più alto la navata, indi sull’asse di questa il campanile. Quest’ultimo, eretto nel 1842 su disegno del Pizzala, avrebbe dovuto portare 8 statue, se lo avesse permesso l’economia, ed essere di proporzioni più larghe. Non potendo per l’angustia contenere le campane, queste giacquero per molto tempo nella corte del parroco. Mezzo secolo dopo il campanile stesso non era giudicato di alcun valore dall’ufficio regionale lombardo per la conservazione dei monumenti.
Il Marchese Cagnola naturalmente compilò un capitolato anche per l’interno della Chiesa, i lavori del quale vennero eseguiti, con qualche vicissitudine legata all’altare maggiore, durante di tutto il secolo scorso.
ChiesaNel 1844 venne restaurato un organo con 25 registri. La vecchia parrocchiale ne possedeva già uno di 7 registri. Nel 1850 venne costruito il Coro in legno. Nel 1858 viene ricoperto il portico. Nel 1883 si collaudò l’organo ricostituito dal Prina della Santa, trasportato sul portone d’ingresso. A fine secolo tuttavia si rinuncia al vecchio organo per uno nuovo, che viene definitivamente collocato nel Coro.
Nel 1894 si avvia il progetto di ampliamento della Chiesa, su disegno dell’architetto Virginio Muzio. Infatti il parroco Don Gerolamo Bonomi decise che, accresciuto considerevolmente il numero dei parrocchiani, era divenuto necessario ingrandire il Tempio, come era altrettanto indispensabile togliere dalla piazza del paese il misero spettacolo delle colonne del pronao, troncate a poca altezza dal suolo.
Il progetto del Muzio rispettava l’originale architettura del Cagnola, prolungando con un vestibolo interno lo spazio prima occupato dal portico esterno, ed ingrandendo così la superficie della chiesa di 130 m2, dove troveranno posto oltre trecento persone. La facciata, con le sue 6 colonne ioniche, rimase quella che il Cagnola compose e disegnò, tranne per il fatto che la profondità del pronao si ridusse da 8 a 5 metri, eliminando così le due colonne laterali. I lavori terminarono due anni dopo, e il 7 maggio 1899 la Chiesa venne consacrata dal Cardinale Ferrari.
Nel corso del XX secolo vengono compiute solo opere di minore importanza, tra cui la via Crucis, affidata nel 1940 al pittore Locatelli, e l’inaugurazione del nuovo tempietto sull’altare maggiore, sollecitato dal Cardinal Schuster nel corso di una visita pastorale del 1934, e realizzato su progetto di Mons. Polvara, della Scuola del Beato Angelico di Milano, nel 1942.

 

Piazza S. AntonioDal 1988 al 1991 vennero intrapresi i lavori di ristrutturazione interna ed esterna dell’edificio sacro, al fine di presentarlo nel migliore stato in vista delle celebrazioni del centenario, in programma per tutto il 1999.
La chiesa di S. Salvatore (oggi S. Antonio) è ricordata in documenti che risalgono addirittura all’865. Dopo secoli di oblio, venne restaurata nel XVI secolo, e se ne trova citazione in una visita pastorale di S. Carlo Borromeo del 1581, dove viene descritta come ex-parrocchiale sconsacrata, dopo che tutte le funzioni furono trasferite nella nuova parrocchiale dedicata a S. Damiano (allora in via C. Battisti). In quel tempo la chiesa di S. Salvatore era a tre navate, mentre nel 1749, dopo diversi e successivi restauri, la ritroviamo a due. Inoltre è in quel periodo che l’oratorio cambia nome e viene dedicato a S. Antonio da Padova, la cui statua in legno è collocata in una nicchia laterale scavata nella parete della cappella. In un'altra nicchia era conservata un’effigie della Beata Vergine Maria, protetta da una lastra di vetro. Il pavimento era composto da uno strato di laterizi e il tetto, sopra un soffitto di travi, era ricoperto di tegole. Il campanile era quadrato, con una campana modesta ma sufficiente a far sentire il suo battito nelle vicinanze.
Dopo gli ultimi restauri degli anni ‘20, la chiesa a nave unica, con abside a terminazione piana, presenta sul fianco sinistro quattro arcate a tutto sesto in cotto, attualmente chiuse da una muratura di tamponamento, ma che probabilmente un tempo si aprivano sulla navata laterale. Sul fianco destro, in prossimità della zona absidale, vi è un’altra traccia di arcata simile alle precedenti.
L’abside, rivolta, come vuole la tradizione medievale, ad oriente, è coperta da volta a crociera e decorata da affreschi sia sulle vele sia sulle pareti. La facciata è intonacata e coperta da tetto a capanna, e risente, forse più dell’interno, dell’intervento di restauro; vi si aprono il portale a tutto sesto, decorato da una doppia ghiera in cui il rosso del mattone si alterna al bianco del marmo, tre monofore sempre a tutto sesto e, in alto, una finestra a croce.
Il campanile, sempre rimasto a sezione quadrata, non molto alto e aperto solo in corrispondenza della cella campanaria da monofore, sorge sul fianco sud, in prossimità della sagrestia. Curiosamente, su una parete dello stesso, furono piazzate due lastre spezzate, un tempo utilizzate come architrave della porta d’ingresso, e che, ad un esame più attento, si rivelano parte di un sarcofago di epoca romana.

 

Il mistero della chiesa di S. Andrea non è sciolto dalle tracce ritrovate nei rari documenti che la riguardano nel corso dei secoli e dalle dichiarazioni del Dozio, che sosteneva sorgesse nel luogo ove fu poi edificata la parrocchiale. A questa antica chiesa era annesso nel medio evo un ampio cimitero, nel quale i concorezzesi si recavano a seppellire i morti del borgo. Se ne trovano citazioni nel ‘300 e nel ‘400, ma non ne appare notizia nella relazione seguita alla già ricordata visita pastorale di S. Carlo del 1581, e nei secoli successivi la sua memoria scompare nell’oblìo, tranne un vago indizio relativo ad un orto “chiamato de sto Andrea” che potrebbe in qualche modo riguardarla.
Poco rimane della chiesa di S. Marta, trasformata in abitazione privata. Eretta intorno alla metà del XVI secolo dai Disciplini, che qui avevano una scuola, era a nave unica. La confraternita dei Disciplini faceva parte di quelle numerose associazioni medievali di carità un tempo così frequenti a Concorezzo e in tutta la Brianza. Consimili fratìe prendevano nome dal santo nella cui chiesa si congregavano e che si sceglievano a patrono. A Concorezzo la più antica congregazione era quella legata alla chiesa di S. Eugenio. Le confraternite o scole modellarono la loro regola di associazione sull’esempio delle regole monastiche, adattandole naturalmente a laici che vivevano nel mondo, con una famiglia ed una attività professionale. Pur essendo legatissime alla parrocchia, avevano un’autonomia gestionale e religiosa fatta da regole proprie e un’indipendenza funzionale, tanto che possedevano chiese, conventi propri e ricchi patrimoni terrieri dovuti alla carità dei confratelli. La confraternita dei Disciplini di S. Marta fu vitale e ricca di spiritualità.
La chiesa di S. Marta venne descritta durante la visita pastorale di S. Carlo come ad una navata e abbastanza spaziosa. La figura di Cristo crocefisso era collocata sopra l’altare maggiore, e le pareti affrescate da immagini sacre. Il campanile era posto sul lato sud, non lontano dalla porta, con una sola campana. Al piano superiore vi era un locale fatto con assi ove gli scolari, retti da un Priore, un vice-Priore e due consigli, recitavano i divini offici e tenevano riunioni. Nel 1730 i confratelli della scuola erano ben 120. Nel 1732 vi fu una solenne processione pubblica per il passaggio di reliquie dalla chiesa di S. Marta alla vecchia parrocchiale. La decadenza iniziò nel XVIII secolo, con la soppressione della confraternita avvenuta, come in tutta la Lombardia austriaca, nel 1787, arrivando al punto che nel secolo scorso la chiesa di S. Marta fu trasformata in osteria, condotta dalla famiglia Varisco.
Le origini della chiesa e del monastero di S. Nazaro sono più incerte, e i primi documenti che li citano sono del XIV secolo. Il Dozio comunque riporta che alla chiesa di S. Nazaro, fin dal IX secolo, fu annesso un monastero di benedettine, già soppresso da molti anni nel XVI secolo ed aggregato al monastero di S. Vincenzo a Milano. Nel 1570 infatti, le monache di S. Vincenzo avevano il patronato della chiesa di S. Nazaro e possedevano ancora beni nel territorio del comune. Finchè la pace regnò nelle nostre campagne le monache se la cavarono. Quando però nei primi anni del ‘400 le invasioni e incursioni legate alle guerre fra il ducato di Milano e i vicini si fecero più frequenti, il monastero, legato ai proventi derivati dalla coltivazione dei terreni circostanti, si trovò in grave difficoltà. Da qui la scelta da parte delle monache di unirsi e fondere i propri beni con quelli della comunità di Milano.

 

Si salvarono così le proprietà del monastero, documentate fino al 1725, ma andò completamente in rovina l’annessa chiesa. Alle monache rimasero i terreni e le case fino alle riforme teresio-giuseppine. Nel 1798 venne soppresso il monastero di S. Vincenzo, che fu spartito fra due monasteri milanesi. Nel 1833-34 l’oratorio di S. Nazaro venne ridotto in due locali, uno dei quali, la vecchia chiesa, trasformato in magazzino.